Trasparenza

Gianmarco era sempre stato un ragazzo timido. O almeno così si definiva, in cuor suo.
Chi lo conosceva ne parlava come di un ragazzo  riservato e schivo, ma di cuore, onesto e regolare, uno come tanti, al punto che si faceva fatica a distinguerlo tra la gente.-
Non che fosse facile riconoscere qualcuno tra le strade di quella città così grande, su quei viali così larghi e pieni di uomini in cammino perennemente indaffarati e assorti.
Quell’unico qualcuno che poteva ben giurare di riconoscerlo tra tutte le persone del mondo lasciò quei viali troppo presto, tanto che Gianmarco divenne troppo in fretta un uomo capace di farsi strada da solo, ma pur sempre troppo solo.
La virtù che però lo aveva sempre aiutato era quella di non perdersi d’animo, mai, per nessun motivo, aggrappandosi a tutto ciò che la città gli offriva, riuscendo a cogliere tutte le occasioni, volta per volta.
Così era riuscito ad entrare in quella scuola, così poco illuminata, ma con tali referenze da essere considerata da tutti una solida garanzia per il futuro di ogni ragazzo concreto.
E poi, del resto, erano stati i suoi sogni quelli che gli avevano permesso di andare avanti; i frequenti, continui abbandoni della mente; i voli sopra gli altipiani della sua solitudine, che lo avevano sorretto e nutrito. Sogni semplici, di un onesto ragazzo, che lo staccavano dalla triste realtà di una vita grigia ed operaia. Sogni in fin dei conti, di piccole gioie, di giusti traguardi da raggiungere, belli da sognare, luminosi da vivere: una casa, un lavoro migliore, una compagna e dei figli, la libertà di disporre del suo tempo.
Una vita come tante, tutto qui, era tutto ciò che desiderava.
Ed era così che appariva dall’esterno Gianmarco, un ragazzo come tanti, ma forse anche meglio di tanti altri, serio ed assennato, perbene e giudizioso.- Cresciuto con uno zio, ben presto si era adattato ad un umile lavoro in una piccola tipografia di periferia, ma senza rassegnarsi al suo umile destino frequentava la scuola nelle ore serali, assiduo ed attento più di tutti i suoi compagni.
Il rendimento era più che buono, considerato anche il peso del suo lavoro, grazie a quella dote che aveva sempre coltivato: la fantasia innata, che lo rendeva pieno d’intuito e di originalità.
Doti che lo avevano reso il preferito dei suoi professori, come quello di chimica, il professor Corradi e quello d’italiano, il professor Anselmi, il vice preside di 55 anni che teneva a lui come un figlio, quel figlio che avrebbe tanto voluto…
Ma né il professor Anselmi e tanto meno la professoressa Giuliani, avrebbero mai sospettato che Gianmarco non era come tutti loro, anche se era come un puntino indistinguibile tra la gente.
Ma poi, come avrebbero potuto, se nemmeno lui stesso se lo riusciva ancora a spiegare. E neanche aveva mai fatto nulla per capire la ragione o l’origine di tale diversità. Era così e basta e nessuno lo avrebbe mai saputo, nemmeno lo zio Armando e neanche la sua ragazza, quando un giorno l’avrebbe conosciuta.
Era così naturale per lui riuscire a vedere “attraverso” le persone.
Sapeva bene che ognuno di noi è un mondo a sé, chiuso nelle proprie sensazioni, permeato dalle proprie esperienze uniche ed originali, fatte di odori, di stanze, di amori di dolori e di sogni.
Sogni come i suoi, ma ognuno unico ed inconfondibile dagli altri. Un mondo dentro ogni persona.
Era un vero piacere per gli insegnanti vedere lo sguardo attento e pacato di Gianmarco seguire la lezione, senza distogliere un attimo lo sguardo dal suo professore, ma senza mai scrutarlo, accarezzandolo con lo sguardo, dolce e sereno, pieno di interesse e tranquillo, serio e profondo, come di chi  apprende più dalla bocca del suo docente che dal freddo libro di testo.
Se però avessero potuto vedere solo un istante dall’altra parte degli occhi del loro studente avrebbero certamente rabbrividito riconoscendo l’odore della loro cantina, il colore dell’inchiostro della loro penna, le voci dei componenti della loro famiglia al ritorno a casa e ancora di più…
Il professor Corradi sarebbe raggelato vedendo con gli occhi di Gianmarco la scena di quando suo padre gli diede quello schiaffo durante il pranzo di Natale, mentre il professor Anselmi sarebbe impallidito riconoscendo il libro che tanti anni fa aveva nascosto dietro l’armadio di casa dei suoi genitori e la professoressa Giuliani avrebbe pianto ricordando il colore della pietra dell’anello regalatole dal suo Pietro, perso chissà dove, fuggito dal suo amore di 15 anni.
E tutto questo era assolutamente normale per Gianmarco che si era ormai abituato a “viaggiare” dentro le persone. Pensava che non fosse poi cos strano guardare un ferroviere e sentire l’odore acre del fumo dei treni impregnato sui suoi vestiti vedendoli riposti sulla sedia dov’erano poggiati tutte le sere, sentire il rumore della porta della sua casa che si chiude, della luce che si spegne nella sua camera.
Del tutto normale per lui passare accanto ad una signora e respirandone il profumo entrare nella sua casa, sentendone il vuoto, la solitudine, l’amarezza di serate passate alla luce di una lampada al neon, ma non solo. Perfino vedere quel libro buttato sul letto sfatto, quello strano modo di piegare le lenzuola, le vecchie casseruole dentro l’armadio della cucina…… 
Delle volte faticava a staccarsi dalle visioni che si susseguivano nella sua mente come le scene di un film.
La stanchezza lo coglieva spesso, sdraiato sul letto, con gli occhi aperti per ore. Sapeva che un dono così non poteva essere tanto comune, ma era così abituato alla trasparenza che non ne aveva mai parlato con nessuno.
Era ormai convinto che, se mai avesse incontrato un suo simile, costui l’avrebbe riconosciuto subito, dal suo stesso sguardo assorto.
Ma così non era stato, almeno fino a quel giorno. Fino alla mattina in cui il professor Corradi non venne a scuola.
Quel padre anziano lo lasciò davvero solo ed il professore non ebbe nemmeno il piacere di trovare conforto nello sguardo attento di Gianmarco, anche solo per qualche ora. 
Erano passati circa venti minuti da quando in classe si era sparsa la notizia del motivo di quella cattedra vuota , quando d’un colpo si aprì la porta.
Le suole delle scarpe nuove del supplente sembrava non avessero mai visto un pavimento.
Gianmarco trasalì ascoltando il rumore secco dei passi, quasi metallico. Rabbrividì notando il colore scuro del suo cappotto, ma ciò che soltanto temeva divenne certezza quando incontrò gli occhi del nuovo insegnante.
Il vuoto lo colse inaspettato ed il suo sguardo sempre assorto divenne di colpo smarrito.
Per nulla preoccupato il supplente si sedette in cattedra ed incominciò a fissarlo. Adesso la paura era diventata panico.
Quel dono che da anni lo aveva accompagnato come un cane fedele era improvvisamente scomparso; per un attimo pensò di essersene definitivamente liberato, ma subito dopo un’altra visione lo fece di nuovo sprofondare nell’angoscia del dubbio.
Chi era il supplente e perché su di lui non c’era nessuna trasparenza ?
Non fece nemmeno in tempo a concludere la sua considerazione quando il suo sguardo lo raggelò.
Lo sconosciuto lo fissava da cinque minuti ormai mentre la classe giaceva nel più assoluto silenzio.
Gianmarco, da parte sua, continuava a guardare dentro quegli occhi scuri, cercando di scorgere qualcosa, invano.
Fino a quando ne percepì il vuoto. Assurdo, ma dietro quelle due minuscole macchie nere non c’era altro che il vuoto. Soprattutto il vuoto, soltanto il vuoto. Nient’altro che il vuoto.
Ed infine capì. Si sentì scoperto e nudo, privo di alcuna difesa, inerme di fronte alla verità.
Dopo tutta una vita passata ad incontrare i vivi, a percepirne le piccole storie, le angosce quotidiane, i ricordi, le gioie ed i dolori, per la prima volta Gianmarco venne in contatto con uno dei tanti, uno dei più.
L’altro mondo, quello dei trapassati era davanti ai suoi occhi, ne poteva toccare la vacuità. Come davanti ad un immenso baratro poteva scorgere la dimensione dell’eterno, dell’infinito immobile e immutabile.
Quel giorno solamente Gianmarco assistette a quella strana lezione, tenuta da quell’uomo venuto dal nulla e tornato nel silenzio.
Ed imparò molto di più di quanto avesse imparato finora. Non seppe mai né il suo nome né da dove fosse venuto, ma ciò non era affatto importante, almeno per lui.
Quel giorno la classe rimase senza supplente, tra i suoi compagni nessuno aveva visto il nuovo professore.
Per tutti quell’uomo non era mai esistito, ma non per Gianmarco che ben presto comprese di aver fatto conoscenza della Grande Signora il cui gelido ricordo lo accompagnò per tutti gli anni a venire.